"Selfie Hat" di Christian Cowan-Sanluis, a cui dedicherò un post perché merita la nostra attenzione.
Devo dirvi la verità, questa storia degli articoli rimbalzati dalle redazioni inizia a piacermi. Finalmente ho una rubrica tutta mia dove tratto argomenti che mi piacciono in piena libertà, senza limiti di caratteri e censure.
Quando ho inviato questo pezzo alla decima redazione segretamente speravo che venisse nuovamente ignorato così da poterlo pubblicare qui, sul mio blog, e continuare ad arricchire questa pseudo rubrica random a cui mi sto affezionando.
Insomma, non tutti i mali vengono per nuocere. E voi, nel mentre, vi fate una cultura.
Oggi la rubrica vi offre un articolo di alto livello intellettuale su un tema scottante e inflazionato: le Wearable Technology.
Ormai ne parlano tutti, perfino su Novella 2000 ci scappa sempre qualche trafiletto sulle tecnologie indossabili e anch'io non potevo tirarmi indietro di fronte all'occasione di essere sul pezzo.
Tutto molto bello, tutto molto figo, tutto molto libri Urania, ma la mia domanda è: davvero ci piacciono queste nuove tecnologie? Secondo me no, anzi, lasciatemelo dire, spesso fanno cagare. Attenzione: in quanto fashion blogger che giudica le persone in base alle scarpe che indossano, questa mia affermazione nasce da un'osservazione strettamente estetico-stilistica e di "usabilità" dei dispositivi. Sono affascinata da questo sodalizio tra tecnologia e moda e vorrei sempre saperne di più sulle novità del settore, ma, nonostante i miei sforzi, resto una fashion blogger che in un vestito a clessidra realizzato con LED tubolari ci vede solo una gabbia per il corpo. Quindi, scienziati e ingegneri di tutto il mondo non vi incazzate con me, sono solo una povera ragazza fissata con i vestiti a cui piace ficcare il naso in cose che non le competono.
Basta parlare, ecco l'articolo della discordia, nella versione pulita, censurata e scorciata –purtroppo.